Il “ragionamento clinico” è la competenza che distingue la professionalità di un medico per la cura di un paziente rispetto all’utilizzo autogestito delle miriadi di informazioni mediche (affidabili o meno) disponibili in Internet.

Cosa significa questo termine? E perché il “Dr Google” non si può sostituire alla consultazione medica vera e propria nello svolgimento del ragionamento clinico diagnostico/terapeutico ?

Il termine “ragionamento clinico”, riassume la sequenza dei processi mentali alla quale vengono formati e addestrati i futuri medici negli anni di studio per arrivare alla formulazione della diagnosi di caso clinico e alla programmazione di un piano terapeutico appropriato.

Essere in grado di sviluppare il ragionamento clinico significa avere la capacità di integrare tutte le conoscenze salienti, di valutare le singole evidenze cliniche (anamnestiche, sintomatologiche, strumentali) attingendo anche alla propria esperienza pratica per la diagnosi definitiva.

Un ragionamento clinico valido utile per la salute del paziente, non è l’acquisizione passiva e il possesso di una serie di nozioni di ugual valore informativo applicabili al caso in questione.

Nulla di automatico e sempre valido per tutti i pazienti per attivare procedure da “catena di montaggio”. Proprio questa peculiarità distingue chi è medico da chi non lo è, nella gestione delle informazioni cliniche.

L’immagine appropriata per rappresentare la modalità con la quale si dispongono le informazioni nella mente del medico non è quella di una lista, un elenco di mattoncini tutti uguali, bensì quella di un puzzle da costruire, per il quale ogni “pezzo” deve trovare la sua giusta collocazione. Questo processo richiede l’uso della logica, l’applicazione di modelli decisionali che tengano conto degli elementi di probabilità, di rischio e di incertezza insiti nel processo diagnostico.

Last but not least è indispensabile uno stato di equilibrio emotivo che non è fredda indifferenza ma neppure un coinvolgimento che annebbia la mente e porta a distorsione del giudizio come nel caso di chi si appresti ad una consultazione per sé o per qualcuno dei suoi cari con Dr Google.

Quando il medico è esperto e/o il caso clinico gli è familiare, il riconoscimento di malattia è quasi immediato grazie ad un matching con i profili di pazienti visti in precedenza.

Questa è la caratteristica essenziale del processo diagnostico, il bagaglio già acquisito si estende ad accogliere nuove esperienze e conoscenze, che vengono organizzate in una rete sempre più ampia e ricca di connessioni e correlazioni.

Agli inizi e per casi meno “da manuale” più complessi, il ragionamento diagnostico si basa sul processo ipotetico-deduttivo, attraverso la generazione di una o più ipotesi e la ricerca di ulteriori dati che se presenti dovrebbero consentire di passare alla fase successiva, se assenti indirizzare verso un altro percorso.

Quanto fin qui detto ha validità per la medicina in generale, ma è tanto più importante per l’ambito psichiatrico per molteplici ragioni: la presenza di una componente modulata dalle relazioni interpersonali e da quelle ambientali, la rilevanza della prospettiva soggettiva nonché la pressoché inesistenza di fondamenti causali per le diagnosi psichiatriche rende essenziale per il buon esito di un percorso terapeutico in ambito psichiatrico l’interazione medico/paziente.