Cosa ci suggerisce questa immagine?

Passione, ordine, allegria.

Collezionare oggetti, classificarli e conservarli in modo tale da poterli sempre accarezzare con lo sguardo è un hobby che per alcuni dura una vita, anzi scandisce il tempo della vita, una sorta di passione che non è diretta una persona o una filosofia ma in fondo verso se stessi attraverso il possesso dell’oggetto del desiderio.

Come avviene la scelta di quella categoria di oggetti che costituiranno il bottino da arricchire nel tempo?

Raramente è la casualità oppure una eredità a dare il via al processo del collezionare.

Processo perché si sviluppa nel tempo, che siano mesi o anni o addirittura decenni, perché si sa, più passa il tempo più ogni collezione acquista valore non solo soggettivo ma valore anche monetario di scambio.

Collezionare qualcosa (che siano oggetti di valore intrinseco come francobolli o monete, oggetti d’uso più o meno costosi come accessori d’abbigliamento, gioielli o orologi di lusso o infine oggetti che semplicemente evocano rappresentandoli simbolicamente viaggi esotici o pellegrinaggi per ristoranti, birrerie o mercatini) è una sorta di biglietto da visita della persona che attraverso il contatto, la negoziazione e lo scambio dice molto di sè, del proprio mondo di interessi e valori; è ricerca dei propri simili attraverso il denominatore comune, la collezione.

Certo ci sono anche i collezionisti solitari, ma per loro il percorso è più in salita, meno remunerativo anche sotto il profilo psicologico.

Ogni operazione di accaparramento ben riuscita, cioè quella in cui il prezzo pagato (il tempo speso nella ricerca, l’attesa) vale la soddisfazione del tesoro finalmente in bella mostra.

E’ chiaro quindi come sviluppare le proprie capacità di orientare scelte e decisioni relative alla propria collezione sia un modo di spendere il proprio tempo nella contemplazione, nella cura, nel riordino che rende emotivamente positivi, rilassati, fieri di sé, almeno fino alla prossima caccia al tesoro che ancora manca, che innescherà un sottile piacere fatto di eccitazione, di attesa, a volte anche di disillusione che ricorda molto il piacere del gioco d’azzardo.

Come tutte le passioni il rischio è che ti prendano la mano, così funziona la mente umana quando attiva i meccanismi di ricerca del piacere questi devono essere tenuti in attività, pena l’assuefazione.

Si perde il senso del limite quando la vertigine del possesso supera il punto di equilibrio e si cade, come Narciso che si era troppo sporto sull’acqua per ammirarsi meglio.
Ed è più che un semplice problema comportamentale.

Sarà che non vi è più spazio fisico in casa (nelle case, nei magazzini affittati allo scopo), sarà che i costi sono diventati eccessivi e sproporzionati rispetto al proprio reddito, sarà che la collezione ruba tempo al lavoro e/o alle relazioni familiari, il risultato è un vivere sempre peggio combattuti tra ciò che suggerisce la spinta emotiva della passione e ciò che la ragione censura come eccessivo, irragionevole e malsano.

Benché l’aspetto comportamentale presenti molti elementi oggettivi in comune (accumulo di oggetti con l’occupazione impropria dello spazio domestico e la conseguente conflittualità in famiglia) gli accumulatori si possono ben distinguere dai collezionisti che “hanno esagerato”.

Le modalità del processo di accumulo, le caratteristiche degli oggetti accumulati, ma soprattutto i meccanismi psicologici che sono alla base di questi comportamenti di interesse clinico sono peculiari.

Mentre il collezionista ordina e classifica secondo canoni precisi gli oggetti della sua collezione (epoca, brand, dimensioni, colore … ) l’accumulatore accatasta e impila in un modo disordinato quanto di suo interesse, nei cassetti, negli scaffali o in fondo agli armadi, ogni spazio vuoto va bene: in effetti per lui non ha importanza poterli osservare, averne cura, passarli in rassegna.

Il meccanismo non è la ricerca del possesso bensì evitarne la perdita, lo scarto. Ciò che finisce nella pattumiera o dato via ha valore solo perché l’averlo a disposizione placa un’ansia di perdita: perdita della memoria, perdita della possibilità di consultazione, perdita della possibilità di rassicurazione rispetto ad ossessioni di controllo di varia natura.

Il possesso dell’oggetto è come una pillola magica. Se so di averlo, questo oggetto, perché in futuro potrei averne bisogno (anche un futuro cosi remoto e improbabile da essere del tutto non plausibile), allora posso stare tranquillo rispetto ai miei pensieri assillanti, almeno per un po’.

Qui ci viene in aiuto per la comprensione del fenomeno la tipologia di oggetti: giornali, riviste, cd o chiavette usb; confezioni vuote di bottiglie, barattoli o scatole di cibo, vassoi di cartone e scodelline per pasticcini già usati; carte e nastri da imballaggio; biglietti da visita di negozi e ristoranti, biglietti dei mezzi pubblici etc. Nessun valore estetico, nessun valore economico, niente se non un’inestimabile valore come ansiolitico.